Misure cautelari: restrizione delle libertà personali prima della sentenza definitiva.

Spesso, quando un fatto di reato sembra grave e il colpevole identificato, il comune cittadino si chiede perché questo non stia in carcere o quantomeno ai domiciliari. Fa scalpore, infatti, che chi abbia commesso un reato non finisca immediatamente in carcere. Ma, perché dovrebbe?

Oggi parliamo di misure cautelari. Sono un tasto ostico anche per noi avvocati, sono contorniate da termini, esigenze, riesami con ritmi serratissimi e spettri di “giudicato” nel processo. Per questo motivo cercheremo di fare chiarezza, senza però scendere troppo nei tecnicismi, così da risultare comprensibili non solo a chi “mastica il diritto” ma anche a chi, semplicemente, vuole farsi un’idea con cognizione di causa.

Iniziamo col richiamare la nostra Carta Costituzionale che, sebbene spesso venga dimenticato, stabilisce che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Questo è il nostro punto di partenza. Perché, dunque, all’indomani del crimine, il colpevole immediatamente individuato dalle Forze dell’Ordine non è già in carcere? Perché è considerato innocente, o meglio non colpevole, sino a che un Giudice non si sia pronunciato in tal senso e quella sentenza sia divenuta definitiva (ovvero non più impugnabile).

Questo è il punto fondamentale che chiarisce gran parte del clamore dei giustizialisti da prima pagina, ma allora chi sta in carcere è stato giudicato colpevole con sentenza definitiva? No. Esistono, ovviamente, delle eccezioni che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza dell’indagato/imputato (elemento necessario), prevedono e permettono la carcerazione (o la restrizione della libertà personale) anche durante il processo e si chiamano esigenze cautelari. Quando una di esse è presente, il Giudice dispone una misura cautelare che può essere più o meno restrittiva (dal divieto di soggiornare in un determinato Comune sino alla detenzione vera e propria).

Ma quali sono le esigenze cautelari? Sono tre e sono elencate nell’art. 274 c.p.p.. Esse sono:

  1. Il pericolo di inquinamento probatorio (ovvero quando il soggetto, senza restrizioni, potrebbe in qualche modo cancellare le prove del reato o quantomeno ostacolare le indagini);
  2. Il pericolo di fuga;
  3. Il pericolo di recidiva.

Questi, e solo questi, possono essere i motivi per cui un Giudice può disporre una misura cautelare. Ma in che modo il Giudice decide quale misura cautelare applicare?

Le misure cautelari, come anticipato, sono molteplici e contemplano: la detenzione presso una struttura carceraria, gli arresti domiciliari (anche con divieto di comunicazione all’esterno e anche con l’ausilio di supporti di vigilanza elettronica, cosiddetti braccialetti elettronici), divieto o obbligo di dimora (per cui un soggetto non potrà entrare oppure non potrà uscire da un determinato Comune), divieto di avvicinamento e di comunicazione con la persona offesa (anche rispetto ai luoghi da essa frequentati), allontanamento dalla casa familiare, obbligo di presentazione alla P.G. (obbligo di presentarsi a frequenza prestabilita, che può essere anche quotidiana, avanti i Carabinieri del luogo di residenza), divieto di espatrio.

Il Giudice, però, non è libero di scegliere arbitrariamente quale delle suddette misure applicare; al di là degli evidenti richiami a misure specifiche per reati specifici (ad esempio è lampante come il divieto di avvicinarsi alla persona offesa sia calibrato su tutti quei reati come lo stalking, i maltrattamenti in famiglia, etc. ove vi sia una condotta ripetuta nel tempo e lesiva nei confronti di una persona specifica), è guidato nella decisione dallo stesso codice di procedura penale.

In particolare, il codice delinea un sistema basato su due principi fondamentali che devono guidare il Giudice nella scelta della misura: proporzionalità e gradualità e, si badi bene, non rispetto al reato ma all’esigenza cautelare. Così, il Giudice dovrà scegliere una misura che garantisca la tutela delle esigenze cautelari ma che, nel contempo, sia la meno restrittiva possibile per l’imputato/indagato. Inoltre, le misure debbono essere scelte nell’ordine dalla meno gravosa a quella più gravosa per eccellenza, ovvero la detenzione inframuraria.

Si specifichi, peraltro, che vi è espresso divieto di applicazione della misura detentiva a meno che tutte le altre misure, anche se sommate, risultino essere insufficienti per vanificare l’esigenza cautelare, come dire: il carcere solo come ultima spiaggia. Ciò in quanto, evidentemente, la restrizione totale della libertà personale deve essere proporzionale a un pericolo tale da non poter lasciare al Giudice altra strada perché l’esigenza possa essere tutelata.

Sono molte altre le limitazioni rispetto all’applicazione della misura cautelare della detenzione in carcere (ad esempio il titolo di reato per determinarne il massimo della cornice edittale) e, sebbene possa sembrare ingiusta tale restrizione, dobbiamo sempre considerare quanto detto all’inizio: siamo sempre alle prese con un soggetto non colpevole.

Può sembrare ingiusto, può dare idea che il colpevole non venga punito, può essere oggetto di critiche tra le più disparate, ma sicuramente, quello delle misure cautelari, è un istituto ben studiato e ben pianificato, nei minimi dettagli, dal legislatore, il quale ha dovuto (e a nostro parere lo ha fatto egregiamente) mettere sul piatto della bilancia i diritti di un soggetto non colpevole da un lato e, dall’altro, la necessità di salvaguardare il prosequio del procedimento penale. Ricordiamo, peraltro, che la nostra Costituzione, oltre alla presunzione di non colpevolezza, si determina anche nel senso del significato della pena come rieducazione, facendo quadrare il cerchio sui diritti dell’uomo come bene di primaria importanza.

Avv. Chiara Sabbadini

Leave a Comment