Cannabis light: davvero ne è stata vietata la vendita?
In questi giorni impazza e rimbalza sul web la notizia che la cannabis light è stata vietata e che quindi non vi è più possibilità di acquistarla nei negozi. Ma quindi davvero quelle migliaia di negozietti con nomi accattivanti e foglioline adolescenziali chiuderanno i battenti a breve?
Facciamo un po’ di chiarezza perché la sentenza n. 30475/2019 non dice proprio questo.
Innanzitutto c’è da dire che la vicenda processuale vede prima un sequestro di 13 kg di inflorescenze e foglie di cannabis nel procedimento a carico di C.L. (titolare di un negozio di cannabis light), poi restituite dal Tribunale del riesame (quelle con THC inferiore allo 0,6%) che ritiene applicabile la L. 242/16 anche per la vendita della cosiddetta cannabis light.
Qui pare doveroso un inciso, che poi è il nodo che si è trovata a risolvere la Corte di Cassazione nella vicenda in esame: il legislatore, nella L. 242/16 consente la coltivazione di canapa per fini commerciali, ma nulla dice rispetto alle inflorescenze o ai derivati (alle foglie, quindi, a quello che effettivamente si vende nei growshop).
Per tale motivo da un lato si è fatto strada l’orientamento giurisprudenziale adottato dal Tribunale, secondo cui è legale la coltivazione della canapa, ma non la vendita delle inflorescenze e dei derivati; dall’altro quello opposto e adottato dal Tribunale del Riesame, secondo cui se la legge del 2016 vuole sponsorizzare la vendita della canapa, è inevitabile che faccia riferimento anche alla vendita dei derivati, per cui dalla liceità della coltivazione deriva la liceità della vendita di prodotti che contengano un principio attivo inferiore allo 0,6%.
Il P.M. propone allora ricorso per Cassazione contro la decisione del riesame, poiché ritiene (primo orientamento) che la non punibilità del coltivatore non si estenda al venditore di inflorescenze. La Suprema Corte rimette la decisione alle Sezioni Unite per decidere, una volta per tutte, quale sia l’orientamento più affine alla legge del 2016.
La Cassazione a Sezioni Unite, quindi, stabilisce che “la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione della canapa […] sicchè la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa l., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 2309/90, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4 co. 5 e 7 legge 242/16 (ovvero 0,6 di THC) salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”.
Cosa vuol dire?
Semplicemente che la Corte di Cassazione ha ritenuto che la legge 242 del 2016 abbia legalizzato solo la commercializzazione e la vendita della canapa e non anche dei derivati della cannabis che, dunque, restano ancora sostanze illecite che faranno incorrere chi vende e chi acquista nel reato di vendita/acquisto/cessione/detenzione di sostanza stupefacente.
Ma, e c’è un grandissimo ma, la Corte fa salva la vendita di tutti quei derivati che non abbiano potere drogante. Come dire, chiude la porta ma lascia aperta la finestra. Sì, perché nei growshop viene generalmente venduta cannabis con un potere drogante (al di là del contenuto di THC che è un dato meramente tecnico) pressochè nullo, e questo è un po’ il salvacondotto per i tanti negozi ormai presenti sul nostro territorio nazionale.
Pertanto non è vero che da domani i growshop verranno chiusi e non vi sarà più possibilità di acquistare cannabis light: semplicemente si è spostata l’attenzione dalla soglia del THC al concreto potere drogante della sostanza, un dato che, nella realtà, porterà ben poche differenze.